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FORMAZIONE ED EMOZIONE

Le emozioni costituiscono sia il tessuto delle nostre esperienze di vita, che il ponte tra noi e l’altro, tra il nostro mondo interiore e il mondo interiore dell’altro.

Questo ponte emotivo tra noi e l’altro è ciò che ci consente di percepire, comprendere e aiutare l’altro: ecco perché la relazione cura. Ecco perché le emozioni sono strumenti preziosi e delicati della relazione di aiuto.

Dalle nostre considerazioni, emerge prepotentemente la centralità delle emozioni, assumendo però anche la forma di un paradosso metodologico: alle emozioni appartiene una dimensione di spontaneità che ne rende impossibile l’uso intenzionale, dato che nessuna emozione si può imporre o proibire.

E’ paradossale allora parlare di tecnica delle emozioni?

Cerchiamo di ricostruire la posizione sistemica sul tema delle emozioni nella relazione di aiuto, attraverso alcuni interrogativi sulle emozioni dell’operatore di aiuto e sulla funzione dell’auto-osservazione (ovvero “cosa provo mentre aiuto?”)

Storicamente, nell’approccio della prima sistemica, le emozioni dell’operatore sono state considerate come ostacoli che, in quanto tali, devono essere controllati: l’auto-osservazione in questo primo caso è concepita come controllo delle emozioni.

In alternativa, si è fatto riferimento alle emozioni dell’operatore come riflesso dei sentimenti del soggetto in difficoltà. Il processo di auto-osservazione è qui concepito nella sua accezione di rispecchiamento: l’operatore in questo caso, osserva se stesso per vedere l’altro.

Un ulteriore modo di trattare le emozioni dell’operatore, si traduce in una sorta di “appello ai buoni sentimenti”, che pone l’accento sul “calore umano” che l’operatore dovrebbe manifestare sempre e comunque nei confronti dei soggetti in difficoltà. L’auto-osservazione diventa, in questo caso, un’attività finalizzata al monitoraggio delle emozioni provate dall’operatore e l’appello ai buoni sentimenti finisce per indurre alla prescrizione dei buoni sentimenti.

Ma, poiché come sottolineano diversi autori con ‘emozioni’ si intende il calore, la simpatia, l’empatia, ma anche la noia, il fastidio, la rabbia, l’indignazione, il problema diventa non quello di sapere qual’è l’emozione giusta o più terapeutica, ma di come utilizzare nel processo di aiuto le varie emozioni che sorgono spontaneamente nell’interazione.

Vanno in questa direzione le riflessioni che individuano nelle emozioni dell’operatore degli indicatori della relazione che si sviluppa fra questi e i soggetti in difficoltà, senza operare distinzioni fra emozioni positive e negative, favorevoli ed ostacolanti il processo, e la domanda principale che viene formulata riguarda il come le emozioni possano essere utilizzate nel processo di aiuto.

L’auto-osservazione in questo senso è intesa come un osservare se stessi mentre si interagisce con la persona in difficoltà, é cioè intesa come riflessività.

In questa prospettiva le emozioni dell’operatore non sono né solamente una reazione ad uno stimolo esterno, nè il puro riflesso delle emozioni altrui, né la proiezione di istanze fantasmatiche: sono indicatori del modo in cui egli partecipa attraverso le proprie mappe, i propri sistemi di credenze e di significato alla costruzione della relazione di aiuto.

Ma attraverso quali percorsi metodologici può essere adeguatamente tradotta, sviluppata ed utilizzata questa idea?

Abbiamo detto:

Emozioni-corpo, pensiero-mente, comportamento-azione e dunque emozione-relazione.

Abbiamo detto:

L’auto-osservazione intesa come un osservare se stessi mentre si interagisce con la persona in difficoltà, cioè auto-osservazione intesa come riflessività.

Aggiungiamo l’elemento formazione.

Va da sé che a questo punto, parlando di formazione non intendiamo solo far riferimento ad un corpo di conoscenze e competenze tecniche. Non è con un corso teorico sulle emozioni che si può comprendere come lavorare con le proprie emozioni.

Occorre esperienza, e quindi sperimentazione.

Occorre pensare a spazi di formazione intesa come sviluppo personale, intesa come spazio all’interno del quale gli operatori possano mettersi in gioco in un ambiente protetto e apprendere l’auto-osservazione, come palestre dell’emozione dove sperimentare la riflessività, come strumento di azione nel processo di aiuto.

Occorrono laboratori alchemici nei quali apprendere come si trasforma il piombo in oro, ovvero la difficoltà in esperienza di evoluzione.

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